sabato 3 novembre 2007

CHE COSA SI CHIEDE AGLI INSEGNANTI?










Agli insegnanti si chiedono principalmente 4 cose:

  1. saper COMUNICARE con la famiglia


  2. sapere COSA SONO i DSA


  3. saper RICONOSCERE i DSA


  4. sapere COME INTERVENIRE di fronte ai DSA


COMUNICARE CON LA FAMIGLIA

La prima tappa del percorso per la riabilitazione del bambino con DSA è la scuola in quanto è il primo luogo in cui viene osservato il processo cognitivo, pertanto la scuola è in grado di cogliere se qualcosa non va.

Poiché non tutti gli insuccessi scolastici sono correlati ai DSA, la scuola deve essere in grado di capire se il bambino sta manifestando un disturbo specifico o se il suo insuccesso dipende da altri fattori legati alla sfera affettiva, emotiva, sociale e intellettiva (ad esempio se si è di fronte a un deficit cognitivo).
Una volta intuito che ci si trova di fronte a un bimbo con DSA è necessario informare tempestivamente la famiglia affinché il bambino venga immediatamente inviato al servizio di NPI locale.
La tempestività è importante per due ragioni:
  1. prima si interviene, prima è possibile un buon recupero: basti pensare che ci sono bimbi dislessici che , riconosciuti nel periodo prescolare, hanno potuto usufruire di interventi mirati in tenera età arrivando alla scuola di base con delle compensazioni che hanno permesso loro di affrontare il percorso scolastico senza particolari difficoltà.


  2. I tempi dei servizi di NPI locali sono biblici a causa della molteplicità dei casi a cui devono far fronte e all'inadeguatezza numerica tra richiesta e personale. Basti pensare che, di norma:
  • tra la richiesta della famiglia e la prima visita del NPI passa un mese

  • tra la visita NPI e l'inquadramento della logopedista ne passano un paio

  • tra l'inquadramento e l'inizio degli interventi passano, nella migliore delle ipotesi, 3 mesi!

Se facciamo la somma dei tempi ci rendiamo conto che corrispondono a più di un quadrimestre scolastico, cioè a 4 mesi in cui il bambino resta in balia del suo disturbo, degli insuccessi scolastici e dell'autostima che ne risente drasticamente!
Considerando che le famiglie che possono permettersi interventi privati sono poche, è necessario che la scuola, per prima, non temporeggi di fronte a un disagio di apprendimento.

Quello della famiglia, però, è spesso lo scoglio peggiore che la scuola deve sormontare in quanto, spesso, da parte dei genitori vengono alzate delle barriere di difesa che celano una non accettazione del problema.

All'interno del nucleo famigliare intervengono dinamiche psicologiche comprensibili che portano, di norma a temporeggiare nella speranza che il bambino migliori.

Secondo anche i più autorevoli studi psicologici, noi madri, generalmente, abbiamo maggiori reticenze nell'accettare le difficoltà e i problemi dei nostri figli, in quanto,a volte anche solo inconsciamente, proviamo un senso di colpa nell' “aver generato un bambino non perfetto”.

A volte questa mancata coscienza del problema è manifestata anche dal padre.

In ogni caso può succedere che, di fronte all'insistenza della scuola, la famiglia dichiari una tacita guerra contro le insegnanti che vengono vissute come “cattive”. L'istituzione scolastica viene percepita come “il nemico” che, chissà per quale oscura ragione, vuole fare del male al bambino evitando di aiutarlo nel suo progresso cognitivo.

Ovviamente l'opposizione da parte della famiglia è un caso estremo ma esiste!




La scuola, pertanto, non deve solo essere empatica comprendendo in primis, lo stato emotivo dei genitori, ma deve riuscire a comunicare nel modo più efficace possibile concordando da subito un patto educativo e d'intervento. La scuola deve sottolineare l'importanza di un intervento logopedico tempestivo, deve elencarne i benefici presenti e futuri legati al recupero del bambino.

Purtroppo in merito alla comunicazione non esistono regole predefinite valide con chiunque e in ogni situazione. La capacità comunicativa in alcuni è innata, altri la devono imparare, ma i risultati dipendono dalla volontà d'interazione e collaborazione di entrambe le parti in gioco.

In merito voglio riportarvi la mia esperienza.

Anni fa nella mia classe erano inseriti due alunni con DSA: mentre la famiglia di uno decise da subito di instaurare un dialogo proficuo con la scuola, accettando i problemi del figlio, divenendone consapevole e condividendone tutti gli interventi proposti; l'altra rifiutava le difficoltà del bambino (non abbiamo mai capito se ne era consapevole o meno) interpretando nel modo sbagliato i suggerimenti della scuola e ostacolandone ogni tipo di intervento e collaborazione.
La mancata accettazione, quindi, minò il dialogo tra le parti in quanto il problema veniva vissuto e visto da angolazioni differenti: per la famiglia l'insuccesso scolastico derivava da fattori esterni al bambino (dal gruppo sociale in cui era inserito; da disturbi fisici, emotivi e relazionali); per noi insegnanti da un disturbo specifico dell'apprendimento che non poteva essere risolto somministrando un'aspirina o una vitamina .


Purtroppo la famiglia rimase ferma sulle sue convinzioni.



Come vedete le due famiglie facevano parte di uno stesso contesto scolastico, interagivano con le stesse persone, gli insegnanti erano gli stessi e si ponevano nello stesso modo con entrambi i nuclei mettendo in atto uguali strategie comunicative, eppure le risposte sono state l'una l'opposta dell'altra!

Purtroppo allo stato attuale delle cose se manca la collaborazione della famiglia la scuola non può fare molto: è la famiglia che deve segnalare il bambino ai servizi locali di NPI; è la famiglia che accetta o rifiuta eventuali interventi tra cui l'insegnante di sostegno; ed è sempre la famiglia che acconsente al rimando tra il servizio di NPI e la scuola. Se la famiglia si oppone la scuola non può fare molto!

I messaggi che la scuola deve passare ai genitori sono essenzialmente tre:
  1. i disturbi specifici di apprendimento indicano che il bambino ha un QI nella norma ma apprende in modo diverso rispetto agli altri bambini. Il fatto che il bambino DSA non ha deficit intellettivi rassicura molto la famiglia.

  2. La richiesta di un intervento specializzato non sta ad indicare che “il bambino è stupido” bensì che ha un disturbo che dev'essere trattato in modo adeguato e specifico: la terapia logopedica permette di creare quelle compensazioni che permetteranno di raggiungere, in ambito scolastico, traguardi ragguardevoli.

  3. Prima si interviene meglio è. La famiglia deve capire che prima si interviene meno il bambino va incontro a degli insuccessi che possono seriamente minare anche la sfera psicologica, prima fra tutte l'autostima.

Sul territorio esistono tantissime famiglie collaborative, aperte al dialogo, molto informate in merito ai DSA; famiglie che accettano il disturbo specifico del figlio ( a volte dei figli), e accettano gli interventi atti ad aiutare il bambino (molto spesso sono le prime a sperimentare nuove strategie) . Queste famiglie, a volte, lamentano una scarsa attenzione al problema dei DSA da parte della scuola.


Personalmente credo che la collaborazione e l'ascolto reciproco debbano essere sempre tra gli obiettivi principali delle istituzioni che si occupano della crescita del bambino al fine di garantirne il benessere sul piano fisico, cognitivo ed emotivo.



2 commenti:

  1. a volte sono i genitori ad avere il problema opposto: si informano e sono consapevoli e vedono il proprio figlio perdersi a causa della mancata sensibilità dell'insegnante nei confronti del problema del figlio. Bisognerebbe aver più fiducia reciproca ed imparare a collaborare di più, in tutti i gradi dell'istruzione... e soprattutto quella obbligatoria, dovrebbe rispondere ai bisogni di tutti, non solo a quelli di chi ha un certo stile di pensiero e apprendimento.

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  2. sono perfettamente d'accordo. La collaborazione e l'umiltà sono la base di qualunque rapporto costruttivo e tra scuola e famiglia i rapporti dovrebbero essere SEMPRE costruttivi perchè in mezzo ci sono i nostri bimbi. Purtroppo non sempre è così ma vale la pena provarci

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