Vi pubblico la risposta che ho inviato al settimanale, sperando non venga ignorata
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Egregia redazione di Famiglia Cristiana,
avendo letto l’articolo dal titolo “quando non è dislessia
ma indolenza certificata,” apparso sul n°9 del vostro settimanale, sento
doverosa la replica a quanto scritto dal dott. Osvaldo Poli . In quanto
psicologo la sua opinione potrebbe avere delle conseguenze non indifferenti su
coloro che ancora negano l’esistenza dei disturbi dell’apprendimento o su chi,
più semplicemente, è scettico verso questo genere di problema.
Sono decente di scuola primaria, referente per i disturbi specifici
dell’apprendimento e i bisogni educativi speciali dell’istituto comprensivo in
cui insegno, ho una buona formazione e anni di insegnamento alle spalle che mi
permettono di replicare con cognizione di causa .Sono certa d’interpretare il pensiero
di molti genitori, ragazzi e docenti sostenendo che l’articolo è intriso di qualunquismi
e banalità, oltre ad essere piuttosto offensivo nei confronti di chi,
quotidianamente deve lottare contro l’insuccesso scolastico. La poca voglia di
studiare esiste ancora ma è tutt’altra cosa rispetto alle difficoltà o, peggio,
ai disturbi dell’apprendimento. Il problema è che molti genitori sono scettici
in merito all’esistenza di diversi tipi d’intelligenza o funzionamenti cognitivi
fuori dagli schemi tradizionali e attribuiscono i scarsi voti scolastici alla “pelandronite”,
come la definisce da sempre mio padre settantenne! Il pregiudizio e l’ignoranza
possono avere serie conseguenze verso quei bambini che presentano un problema
reale e che possono apprendere se vengono concessi loro degli strumenti compensativi
e dispensativi, STRUMENTI non SCONTI DI PENA. Per fare un esempio banale, gli
strumenti compensativi stanno ai ragazzi DSA ( o con varie difficoltà) come gli
occhiali stanno al dott. Poli.
Questi ragazzi conseguono gli stessi obiettivi dei compagni
di classe, la progettazione è personalizzata e non individualizzata. Ciò significa
che a loro viene concesso e insegnato l’uso delle mappe per apprendere oppure l’uso
della calcolatrice per fare calcoli complessi, o le tabelle delle formule
grammaticali e geometriche. Tali strumenti non dispensano dall’imparare il
contenuto delle discipline di studio, le procedure di calcolo, il costrutto
della frase o la struttura dei problemi aritmetici. Questi ragazzi hanno spesso
un’intelligenza e una sensibilità superiori alla media pertanto sono
consapevoli della fatica necessaria per imparare. E’ piuttosto comune che i DSA
abbiano deficit nell’ambito della memoria di lavoro o a breve tempo, deficit
che rallenta e complica ulteriormente l’apprendimento. La difficoltà nel
trattenere le informazioni anche solo per breve tempo è alquanto frustrante perché
dopo ore passate sui libri i risultati sono comunque scadenti.
In tutti i miei anni d’insegnamento non ho mai visto ragazzi
in difficoltà gioire con tifo da stadio di fronte alla propria diagnosi di
disturbo e ancor meno ho visto le loro famiglie serene e sollevate. Anzi! Poiché
i disturbi specifici non sono una malattia, termine improprio usato dal dottore
nel suo articolo, ma una caratteristica legata a un particolare funzionamento
del cervello, non si può “guarire” seguendo una terapia specifica. Chi nasce
con il disturbo muore con il disturbo. Ciò che può accadere, se ben seguito e
sostenuto dagli specialisti del settore, dalla scuola e
dalla famiglia, è di trovare delle strategie che gli permettono di bypassare
la difficoltà, ma la fatica, l’ansia, il senso di frustrazione e una scarsa
autostima restano. Lo stesso scoramento resta per tutta la vita nella famiglia.
Consiglio di leggere “Diario di scuola” di Pennac al fine di comprendere
completamente queste mie affermazioni.
Non ho mai incontrato ragazzi con difficoltà che a causa del
disturbo abbiano dovuto studiare meno, anzi, spesso è l’esatto contrario in
quanto per svolgere la metà dei compiti impiegano il doppio del tempo proprio a
causa della mancanza dell’automatismo e del deficit di memoria che condizionano
la capacità attentiva e affaticano velocemente.
I bambini che devono seguire un programma individualizzato
sono bambini con intelligenza al limite della norma, sono alunni oggi ancora
poco sostenuti proprio a causa dei tagli che hanno contratto gli organici. Questi
bimbi non avendo un QI al di sotto della normalità non hanno diritto a un insegnante
di sostegno ma avendo un funzionamento cognitivo al limite, necessitano di
grossi aiuti in quanto, a differenza dei DSA, non sono in grado di mettere in
atto strategie o di essere autonomi nel lavoro o nell’uso degli strumenti insegnati.
I docenti non sempre riescono a seguirli
a dovere perché devono gestire, spesso, una ventina di altri alunni. Anche nel
caso di questi bimbi, definiti come soggetti con bisogni educativi speciali,
non ho riscontrato alcun giubilo nei loro occhi, anzi, la frustrazione, in
alcuni casi, si riversa in atteggiamenti comportamentali difficili da gestire e
dolorosi per la famiglia. Per questi bimbi le lezioni e le interrogazioni più
semplici hanno lo stesso valore del lavoro svolto dai compagni perché per
apprendere c’è un notevole dispendio di energie cognitive ed emotive.
Naturalmente esistono anche i soggetti indolenti, descritti
dal dott.Poli ma questi non ottengono alcun tipo di certificazione o diagnosi.
Ho conosciuto ragazzi valutati dagli specialisti che dovevano solo migliorare
le metodologie di studio ma non avevano alcun disturbo specifico e nessun
funzionamento al limite, a loro non è stata rilasciata alcuna diagnosi o
certificazione e gli specialisti hanno concluso l’osservazione con alcuni
consigli per la famiglia e i docenti al fine di potenziare e stimolare l’interesse
e migliorare la metodologia di studio.
I ragazzi realmente indolenti non possono e non devono
essere confusi con chi ha difficoltà tangibili, evidenti e scientificamente
accertabili.
Il dott. Poli, nel suo articolo, ha fatto una grande
confusione scatenando sicuramente rabbia in chi combatte quotidianamente con l’insuccesso
scolastico, inoltre ha incentivato i negazionisti e gli scettici a pensare che
i disturbi specifici e le difficoltà siano un’invenzione dell’era contemporanea
e quindi bastino i buon vecchi metodi per risolvere l’insuccesso:
pluribocciature, scappellotti e umiliazioni con tanto di cappello d’ asino. Il rischio
è d’incentivare la dispersione scolastica e avere adulti frustrati, depressi e
insofferenti, quando invece basterebbero un minimo di umanità e sensibilità da
parte di tutti e la volontà di affidarsi a chi ha reali competenze in ambito dell’apprendimento.
Cordialità.
Cristiana Zucca
Salve,
RispondiEliminasono una psicologa che lavora anche con i bambini e i ragazzi con disturbo di apprendimento. E riscontro nella quotidianità del lavoro di relazione con genitori ed insegnanti le problematiche da lei così ben descritte.
Condivido pienamente la sua lettera di risposta.
sì, Cristiana, da mamma di ragazzi con dsa, condivido e confermo quello che hai replicato all'autore di questo articolo tanto superficiale. Grazie.
RispondiEliminaBravissima Cristiana. Ottima risposta!
RispondiEliminaGrazie per la tua risposta, hai scritto esattamente quello che avrei scritto io... se ne fossi capace.
RispondiEliminaMi è piaciuto tanto il riferimento agli occhiali :))
GRAZIE MILLE....una mamma di un bimbo "pigro e sfaticato"....
RispondiEliminaHO scritto anch'io chiedendo un nuovo artico sulla tematica dopo essersi informati realmente!!
RispondiEliminaMi sono permessa di scrivere anche al Direttore. Grazie Cristina! ci vorrebbero tanti docenti come TE!!
RispondiEliminatiziana
E' possibile che il dottore abbia scritto quelle parole in buona fede senza l'intenzione di denigrare nessuno, tanto meno i ragazzi con difficoltà. Voglio credere che volesse spiegare quanto l'indolenza, nonostante i disturbi che conosciamo, sia, comunque, comune ( e mi pare che questo nessuno di noi lo neghi) però è evidente come la questione sia stata trattata nel modo sbagliato, forse senza rendersi davvero conto che l'argomento trattato in quel modo, avrebbe potuto non solo ferire, ma confermare certe posizioni di gente che ha già molti pregiudizi sull'argomento. Forse il dottore, sfruttando i suoi studi,avrebbe potuto dare qualche consiglio per poter risolvere l'indolenza,spiegando che la motivazione e l'interesse sono alla base dell'apprendimento, suggerendo qualche buona pratica, qualche strategia pedagogica e didattica...Credo che chiunque di noi avrebbe accettato di buon grado quel genere di consigli che sono apllicabili a qualunque tipo di studente. Ritengo, pertanto, sia giustissimo che ci sia un confronto e che venga dedicato un articolo alle difficoltà e ai disturbi dell'apprendimento,trattandoli in modo obiettivo, dando spazio a voci autorevoli del settore. Infine credo sia altrettanto giusto permettere al dot Poli di spiegare il suo reale punto di vista, qualora ci sia stata un'errata interpretazione del suo pensiero da parte nostra.
EliminaVoglio essere ottimista e pensare che ci sia stato solo un malinteso e che certe affermazioni siano state decontestualizzate e usate impropriamente....
ecco cosa mi ha risposto:
RispondiEliminaanche se come dice lui era il racconto di un fatto di vita vera...tenga presente quello che tutte noi affrontiamo ogni giorno e come un articolo di questi possa essere un'arma negativa! (Tiziana)
Gentile lettrice , ritengo il suo sdegno del tutto ingiustificato .
La mia riflessione era finalizzata a comprendere come mai alcuni figli gioiscano alla diagnosi invece che preoccuparsene ( come lei stessa ritiene debba essere ) . I fatti riportati rispecchiano molti racconti di vita VERA che ricevo quotidianamente, a cui va dato un senso .
Non sono entrato nel merito delle validità della diagnosi DSA né ho inteso metterla in dubbio , volevo solo stigmatizzare un atteggiamento che va al di là della stessa . Peraltro si intuisce la riprovazione per il fatto che il ragazzo non esegua le indicazioni ricevute.
Il racconto è incentrato sulla “reazione anomala” del figlio , intendendo spiegarla e stigmatizzarla . La riflessione era sulle dinamiche di personalità a cui inerisce la diagnosi , non sulla stessa .
Essa è riportata solamente un caso specifico di un atteggiamento più generale del figlio , e mi permetto di sottolineare che questo è evidente dal tenore di tutto il racconto . Era l’equivalente del ragazzo che gioisce alla diagnosi di bronchite acuta , pensando al fatto che non dovrà andare a scuola . Se ne deve dedurre che la bronchite non esiste ?
Questo e non altro . Spiacciono le sue considerazioni che non rispecchiano minimamente la mia posizione .
Cordialmente
Osvaldo Poli
L'importante è chiarirsi, fatto sta che il 90% di coloro che hanno letto l'articolo ne hanno dato la stessa interpretazione, ciò significa che quanto voleva realmente intendere il dottore non è stato spiegato in modo adeguato, inoltre anche chi non s'intende di DSA le equazioni che ha fatto sono state DSA=indolenza;diagnosi=scusa per avere delle agevolazioni scolastiche.Mi spiace ma l'articolo non era affato chiaro sui reali intendimenti della scrivente
EliminaAnche la mia opinione è che l'articolo non rispecchiasse in alcun modo la mia esperienza con la dislessia nè quella di tutte le persone che conosco, e non sono poche dal momento che noi mamme cerchiamo di condividere il più possibile sulla dislessia e ci aiutiamo a vicenda. Lungi dall'essere felici per una diagnosi di dislessia forse si abbozza un sentimento di "sollievo" potendo finalmente comprendere che tipo di difficoltà impedisce ai nostri figli, a fronte di impegno e fatica, di ottenere gli stessi risultati degli altri. Maggiore sollievo nello scoprire che il banale utilizzo di strumenti compensativi agevola l'apprendimento e consente di lavorare meglio. La mia esperienza è che tutti i giovani DSA che ho incontrato soffrono della loro difficoltà fino a quando non viene riconosciuta, poi trovano la soluzione e vanno avanti alla grande. Immagini l'autore di questo articolo di dover leggere e studiare senza gli occhiali che indossa nella sua foto, che mal di testa, che stanchezza, che difficoltà di concentrazione, che frustrazione per non riuscire a portare a termine i suoi compiti. Poi un giorno un oculista gli comunica che ha bisogno degli occhiali, li indossa e improvvisamente riesce a fare cose che prima erano impossibili.... la dislessia e gli strumenti compensativi sono qualcosa di simile, se un DSA non li usa è probabile che abbia dei problemi ad accettarsi per quello che è, va aiutato in questo senso. In ogni caso un DSA non è esentato dallo studio o dal raggiungimento di obiettivi adeguati, per cui non usare gli strumenti sarà solo un modo per ..... non mettersi gli occhiali.
EliminaCristiana L.
esattamente Cristiana. Infatti ho risposto esattamente in questi termini. E la sua successiva risposta è stata che la diagnosi è differente in base ai casi(!).
RispondiEliminaLa psicologa che segue mia figlia mi ha detto che non ha conoscenze in materia di DSA e, purtroppo, Famiglia Cristiana gli ha pubblicato l'articolo perché è uno psicologo....
occorre sensibilizzare i giornali e le riviste ogni volta che danno informazioni imprecise prive di fondamento, tutti insieme.
a te grazie :)
tiziana
Certo che una diagnosi è differente rispetto ai casi, si hanno dislessici puri, disturbi misti, adhd, borderline...e ognuno ha caratteristiche proprie e dev'essere trattato in modo specifico...CHi non ha alcun disturbo non ha nemmeno la diagnosi,la pecca del dottore sta proprio qui! Sono d'accordo che FC abbia dato spazio alle opinioni della psicologo ma una volta accerattao che pososno esserci pareri discordanti sarebbe corretto dare voce anche a c hi la pensa in modo diverso...Vediamo se lo faranno, io penso di sì
Eliminapurtroppo ognuno legge quel che vuole leggere, e i giornali e l'informazione cercano di guidarci nella lettura della verità invece di esporre i fatti. come in tanti altri ambiti, adesso sono finiti i soldi della fondazione Telecom, toccherà mica allo stato farsi carico delle spese per aggoirnare i docenti o per i libri in formato pc ? meglio screditare il dsa.
RispondiEliminaCerto che questo signore deve aver letto della dislessia sul manuale delle giovani marmotte... Se vuole gli racconto io come noi genitori e i miei tre bambini (reali!) abbiamo accolto la diagnosi di dislessia, disortografia e discalculia.
RispondiEliminaE non mi sembra proprio che quest bambini lavorino meno degli altri, se mai è proprio il contrario: terapie logopediche, imparare l'uso del computer, etc.
Avere la diagnosi serve per lavorare nel modo più corretto possibile, non a fare sconti.
Ma forse è solo fiato sperecato.
Paola